Abitualmente, quando pensiamo alla comunicazione, la nostra attenzione si focalizza sul linguaggio: le parole vengono organizzate in frasi secondo regole grammaticali ben precise, le frasi formano il discorso e questo è a sua volta organizzato secondo le intenzioni e le capacità verbali di chi parla. Pur tuttavia se una persona decide di stare in silenzio, ugualmente continuerà a trasmettere messaggi su sé stessa attraverso la postura del corpo, l’espressione ed il modo di gesticolare, l’intonazione e il volume della voce, elementi che forniranno in chi ascolta infinite indicazioni su chi gli sta parlando.
La comunicazione non verbale ha fra le sue principali funzioni quella di esprimere le emozioni, permettendo quindi di comunicare atteggiamenti interpersonali suscitati dalla relazione con l’altro. Inoltre è sicuramente efficace per accompagnare e sostenere il discorso che si sta facendo, poiché quando si parla si assumono configurazioni facciali particolari e si fanno gesti che possono amplificare o rendere ambigue le parole che si stanno pronunciando. Tutti questi elementi, di per sé già fondamentali, acquisiscono maggior valore nel contatto con una persona che sta attraversando, in qualsiasi età della vita, un momento, una fase o un periodo di dipendenza da altrui cure.
Per esempio, una possibile situazione di crisi può essere l’unità di cura intensiva, dove il malato è collegato ad apparecchiature complesse sotto stretta sorveglianza. La ventilazione artificiale gli impedisce di parlare e la dipendenza da segnali non verbali, quali l’intonazione della voce e il contatto fisico, è il mezzo migliore per fargli percepire che qualcuno è lì accanto per prendersi cura di lui.Un contatto fisico può inoltre dire assai di più che tante parole nei casi in cui una persona è depressa e non riesce a reagire a una comunicazione verbale, o ha bisogno di un incoraggiamento davanti a una prova difficile o necessita di accudimento perché disorientata.
Ci sono inoltre situazioni in cui sono assenti gravi patologie, ma, più semplicemente, dove mutamenti fisiologici e comportamentali fanno parte del progredire dell’età, causando riduzione delle facoltà sensoriali e difficoltà di movimento che rendono l’anziano esposto al rischio di solitudine e isolamento.
Anche in questi casi risultano molto più efficaci e affettive modalità di “stare accanto” che privilegino la comunicazione del corpo piuttosto che quella delle parole. Attenzione al comportamento visivo e alla mimica facciale: il contatto visivo, lo sguardo, il sorriso, la risata.
Guardare o non guardare negli occhi una persona trasmette un messaggio dotato di molta forza, in quanto rivela l’interesse che proviamo nei suoi confronti, così come lo sguardo serve a regolare il rapporto di vicinanza o distanza con l’interlocutore, in quanto il contatto visivo reciproco contribuisce a creare un rapporto di intimità.
Il sorriso, come la risata, può essere considerato come espressione di gioia e felicità che contiene tonalità affettiva. Annuire con la testa alle parole dell’assistito dà segnale di assenso, ma anche di incoraggiamento e comprensione, di intimità e vicinanza affettuosa.
Pure l’accompagnare i propri discorsi con gesti che si riferiscono al parlato aumenta e migliora l’espressività e il significato. Non di minor importanza è il movimento del corpo.
La postura riguarda le diverse posizioni assunte dal corpo durante l’interazione e fornisce importanti informazioni sulla qualità dell’interazione stessa. Una postura ravvicinata indica attenzione, diversamente da quella ritirata che si interpreta come freddezza o rifiuto.
Nei casi in cui la relazione di aiuto implica un contatto corporeo, è bene ricordare che il tipo di contatto cambia man mano che aumenta il grado di intimità fra le persone coinvolte. Manifestazioni quali abbracciare, baciare, accarezzare, stringere affettuosamente possono essere di grande aiuto per un malato che chiede sostegno, ma altri tipi di contatto più finalizzati a manovre corporee (igiene intima, cambio abiti) possono anche ledere il senso di pudore della persona coinvolta.
C’è infine da considerare l’ulteriore modalità della comunicazione paraverbale, relativa alle caratteristiche sonore possedute dalla voce. Abbiamo già detto che parole e frasi assumono significati ben differenti a seconda del modo con cui vengono pronunciate. E’ pertanto consigliabile adottare un volume moderato (salvo i casi di ipoacusia) e una velocità non troppo sostenuta nel parlare, per evitare di stordire chi ascolta.
Parlare senza parole e ascoltare con gli occhi sono dunque le chiavi che, al di là del linguaggio, ci permettono di entrare nel mondo di chi ci è prossimo e soffre.
Ma questo tipo di comunicazione non è utile solo per chi richiede la nostra vicinanza. E’ soprattutto utile per sé stessi perché offre uno specchio in cui guardarsi e conoscere chi siamo quando entriamo in contatto con la malattia.
Fonte: http://www.muoversinsieme.it
Autore: Luciana Quaia in Famiglia/Socialità